Il primo anniversario della scomparsa di Alberto Masoero
Un anno fa, il 2 gennaio 2024, ci aveva lasciato uno dei volti storici del giornalismo locale e nazionale. Alberto Masoero si era spento a 81 anni: era stato direttore di Panorama di Novi dal 2005 al 2018, crescendo per anni tante giovani firme del giornalismo locale. Una persona di enorme integrità morale e professionale, liberale convinto, juventino di ferro e sempre pronto alla battuta. Una penna sopraffina che ha segnato la cultura novese e non solo.
Per ricordarlo, nel primo anniversario della sua scomparsa, vi lasciamo le parole di Enrico Marià, direttore di Panorama di Novi, scritte dopo la sua scomparsa
Alberto illumina. In qualche modo, trafigge e trapassa il sole.
Nell’averlo accanto la sua energia ti eleva. Perché anche la morte è un errore, e, forse, davvero, si respira solo con l’anima.
Alberto ha la passione per i diritti innati degli individui. E ci insegna come sia immorale la stanchezza dell’opinione pubblica. Ci insegna il rigore nel sostenere le nostre convinzioni senza, però, trasformarle in ossessione perché è il dubbio che, sempre, aiuta il chiarore.
Alberto è tra gli ‘erasmiani’, lo zenit della forma mentis liberale. È modernizzatore della cultura; suo il senso del discernimento e della critica a ogni semplificazione, manicheismo, parzialità. Suo, inoltre, l’essere contro il neocorporativismo e la «disgregazione particolarista della società civile».
Alberto è integrità intellettuale ed è grandi valori della modernità europea.
Alberto è uno studioso della vita. Intuisce il passaggio da un tempo all’altro, ne nega le soluzioni conformistiche «che fanno dell’uomo un risibile abbozzo» e lotta contro il credo e il volere che le nostre vite siano, per mediocrità, impossibili. Suo è il pensare critico, la sintassi, la «tecnica della libertà» avversa all’assolutismo e all’ opinione unica.
Alberto è il coraggio morale, è il ricordarci di esistere «al servizio dell’umanità»; è l’impegno creaturale, giornalistico, politico come mezzo attraverso cui compiere un intimo percorso di ricerca esistenziale contro le convenzioni e le paure.
Alberto è la divulgazione, il sapere, la conoscenza, quella condivisa, e, quindi, la sfida a ogni regressione e il vedere alla stregua di un mostro tutto ciò che è reazionario.
Alberto è l’indipendenza che protegge e permette all’individuo di scegliere; è la dignità personale; è quell’ approccio che rende l’esistenza il punto dove l’uguaglianza e la libertà si toccano fondendosi. Alberto è il «gusto della mente»; è il diritto universale e «imprescrivibile» di ciascun uomo all’autodeterminazione ed è «la trascendenza di un desiderio che lo spinge incessantemente in avanti».
Alberto è l’innocenza, mai perduta, che vince sull’omologazione culturale; è la ‘gettatezza’ dell’orizzonte; ed è, anche, una malinconia inguaribile, quella che ben sa l’oggetto perduto e che, al contempo, che «le rose fioriscono senza un perché».
Negli anni ultimi, questi, dove mai cessa lo spegnimento delle speranze, Alberto è il trovare una nuova alba dentro l’imbrunire. E Alberto è il mio direttore.
È mio amico. Qualcosa di più di un fratello grande.
È mio affetto, è il mio grazie smisurato.
È la coerenza delle passioni che restano eterni puledri. È un immenso che cerca e trova foce ed è sorgente di luce, è un orizzonte d’ali, il manto del sole. Alberto è Paola, la sorella Ala, le nipoti Sofia e Olga. È un due gennaio in cui, sì, si prende congedo, ma senza che il bene finisca.
E io, anche domani, Direttore, te la farò trovare La Stampa sulla scrivania.
Poi mi dirai tu.
Ma tanto già lo so che «l’amore è uccidere la morte con il tuo nome».