A Palazzo Lascaris i ricordi di Lidia Maksymowicz

 

Imminente l’arrico del Giorno della Memoria, che ricorre il 27 gennaio. Il vicepresidente del Consiglio regionale, Mauro Salizzoni, ha quindi ricevuto a Palazzo Lascaris Lidia Maksymowicz. Deportata dalla campagna bielorussa e internata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau quando aveva solo pochi anni, insieme alla madre. La signora Lidia ha donato al vicepresidente una copia del libro appena uscito a cui ha affidato la sua toccante testimonianza. “La bambina che non sapeva odiare”, scritto con il giornalista Paolo Rodari e introdotto da testi di Papa Francesco e di due altri sopravvissuti alla persecuzione nazista, Liliana Segre e Sami Modiano.

 

“È stato un incontro commovente, così come lo fu la visita del campo di Auschwitz che ebbi occasione di visitare negli anni Settanta quando, durante uno scambio fra studenti universitari, trascorsi un periodo di lavoro in un ospedale polacco. La vista del cumulo di oggetti personali appartenuti agli internati lasciò in me un segno profondo”, ha affermato il vicepresidente Salizzoni. “E ritengo che sia proprio la memoria l’unico grande vaccino per evitare il ripetersi di simili tragedie. Noi tutti abbiamo il dovere di impegnarci in tal senso nella difesa dei valori della democrazia”.

 

I ricordi di Lidia

 

Lidia visse per tredici mesi l’inferno del lager, nella baracca dei bambini, diventando una delle piccole “cavie” degli esperimenti del dottor Josef Mengele. Sua madre sparì in una delle “marce della morte”, alla fine del 1944 poco prima che le truppe russe arrivassero a liberare i prigionieri. La bambina fu poi adottata da una donna polacca che si prese cura di lei ma non perse le speranze di rivedere la madre naturale, che in effetti ritrovò dopo diciassette anni di ricerche. Nonostante i dolorosi ricordi di quello che lei definisce “il lungo inverno”, ovvero l’orrore del nazismo, Lidia ha deciso di dedicare la vita a raccontare la sua esperienza per dire no all’odio e perché la storia non si ripeta.

“Il numero che porto tatuato sul mio braccio documenta che quello che racconto è verità”, ha commentato Maksymowicz. “Purtroppo sono pochi i testimoni rimasti ancora in vita ma è fondamentale raccontare ciò che è avvenuto per combattere quell’odio che con i nazionalismi sta riemergendo in molti luoghi. E mi rivolgo in particolare ai giovani, che sono il futuro del mondo”.

 

La vicenda di Lidia è inoltre stata illustrata nel docufilm uscito l’anno scorso “70072: la bambina che non sapeva odiare”. Prodotto dall’Associazione La Memoria Viva di Castellamonte, in collaborazione con il Club Turati del Canavese e il Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale.