Ex Ilva sta uscendo dalla crisi ma non ci sono ancora nubi sul suo futuro

Luci e ombre su Acciaierie d’Italia, la ex Ilva che cerca faticosamente di uscire dalla crisi in cui è precipitata negli anni scorsi. Da una parte ci sono segnali di fiducia da parte dei mercati finanziari e un progressivo aumento della produzione. Dall’altra rimangono i problemi giudiziari che continuano a non vedere soluzione. All’orizzonte, intanto, nuova cassa integrazione.

 

Il gruppo siderurgico ha chiuso il 2021 con circa tre miliardi e mezzo di fatturato e un risultato finale positivo. Nell’arco dell’anno è previsto un aumento della produzione a Taranto fino a sei milioni di tonnellate. Grazie al riavvio dell’altoforno 4  e della Acciaieria 1.  Siamo quasi al raddoppio rispetto all’anno appena concluso, con sicure ricadute positive anche sullo stabilimento di Novi, che lavora il prodotto che arriva dalla Puglia.

 

Secondo quanto riferisce Il Sole 24 Ore, la ex Ilva ha ceduto i propri crediti commerciali per circa un miliardo e mezzo. L’accordo intervenuto con Morgan Stanley porta nelle casse della società circa un miliardo e mezzo. Questa operazione è strategica per Acciaierie d’Italia, visti i considerevoli aumenti dei costi di produzione. A cominciare da energia e materie prime e si lega alle previsioni del piano industriale. Piano che prevede un costante aumento della produzione fino al 2025, anno per il quale l’obiettivo è tornare agli otto milioni di tonnellate di prodotto.

Nell’immediato, le preoccupazioni non mancano

È sempre il Sole 24 Ore a confermare che ci sarà una nuova richiesta di cassa integrazione, che sarà avanzata prima della scadenza di quella attualmente in corso e che dovrebbe coinvolgere 3.500 lavoratori del gruppo. Al momento non si sa se la misura coinvolgerà anche lo stabilimento novese.

 

Inoltre, potrebbe scricchiolare anche il cambio di maggioranza in Acciaierie d’Italia. Nel mese di maggio è previsto l’aumento di capitale che dovrà portare Invitalia, la società controllata da Cassa depositi e Prestiti, al 60% del capitale con ArcelorMitttal che ridurrà la propria partecipazione al 40%. Il punto critico è la revoca dei sequestri penali riguardanti gli impianti dell’area a caldo di Taranto, il motore produttivo dello stabilimento. Sequestri che erano stati disposti dalla Autorità Giudiziaria nel luglio 2012, sia pure con facoltà di continuare a utilizzarli e secondo alcuni osservatori appare sempre meno probabile. Da più parti si ipotizza che questo provvedimento non sarà rimosso prima del completamento del piano ambientale, previsto per agosto 2023.