Me.dea e la lotta contro la violenza sulle donne
Maria, Mercedes e Antonia Mirabal erano tre ragazze che non smettevano di lottare per i loro ideali. Vogliose di ridare al loro Paese, la Repubblica Dominicana, la libertà che un uomo aveva tolto loro. Quell’uomo dallo sguardo di ghiaccio che si chiamava Raul Trujillo e che aveva instaurato una sanguinaria dittatura nello stato caraibico. Il 25 novembre 1960, le tre donne si recano a far visita ai loro mariti, in carcere. Durante il tragitto, l’auto viene intercettata, i passeggeri fatti scendere e portati dentro una piantagione di canna da zucchero. Le milizie di Trujillo uccidono a bastonate le sorelle Mirabal. Una storia terribile. Poco nota nel nostro territorio, almeno fino all’istituzione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
A supporto di Narges
Per provare a capire cosa sarà questa giornata, non possiamo che partire da un nome. Un’associazione cardine nella provincia di Alessandria, attiva dal 2009 e che lavora ogni giorno per contrastare una violenza che, stando anche ai numeri, non sembra diminuire. Parliamo di Me.dea. Elena Rossi, responsabile comunicazione del centro, esordisce con alcuni dati che fotografano la situazione attuale. «Le cifre dicono che l’andamento è in crescita e il motivo principale è che le donne hanno iniziato a conoscerci, facendo emergere questo fenomeno. Esiste un periodo spartiacque, ovvero il biennio del Covid». Come in tutte le tematiche che abbiamo trattato, la pandemia ha influito anche sui rapporti famigliari, personali e di relazione, in alcuni casi peggiorandoli e deteriorandoli.
«Nella fase pre Covid, registravamo una media di 180190 accessi l’anno – afferma – in seguito il numero è cresciuto sino agli attuali 205 di questi giorni. Un incremento del 25%, senza contare che il 2023 ancora non è terminato». Spulciando tra i dati, possiamo notare che il 70% delle donne che contattano il centro sono madri. «Parliamo di una violenza a cui i figli assistono in prima persona. Sono donne, soprattutto, tra i 35 e i 55 anni, coniugate o con divorzi alle spalle, ma la pandemia ha allargato la platea. Infatti, sono iniziate ad arrivare anche richieste di ragazze giovanissime, molte delle quali al primo approccio con una relazione affettiva». Un problema vivo e presente, che necessita di un approccio sensibile ed efficace. «Si parte con una accoglienza telefonica, alla quale segue un appuntamento e alcuni incontri con una operatrice, la quale segue la donna nella rielaborazione della violenza. La durata del percorso? Ogni situazione è differente, non esistono tempistiche standard» conclue Elena Rossi.
Nel numero di Panorama di Novi in edicola l’approfondimento a cura di Giovanni Guido.